martedì 9 aprile 2019

IL PRIMO GIORNO


Milano, 09/04/19
La mattina si è rivelata solare e calda, anche se gli occhi bruciavano un po’ troppo al risveglio. Dopo aver scelto un abito nero, una camicia bianca e scarpe nere lucide ( non posso sopportare di vedere le persone in abito nero e scarpe marrone, lo trovo sconcio e illegale!) ho preferito indossare una cravatta rossa che poi nel pomeriggio avrei cambiato con una arancione, prontamente inserita nella borsa portadocumenti.
Il motore è ancora freddo e cerco di accelerare senza strappi, ma perché l’inizio sia rigenerante alzo al massimo il volume del lettore e “100%” dei Sonic Youth per poco non fa esplodere i coni.
Ho sempre avuto la tendenza a correre velocemente.  Sono molto attratto dall’adrenalina. Ho ancora la bocca al sapore di caffè quando cerco di passare con vana speranza tra le auto in coda verso l’ingresso della Fiera di Milano. Gli occhi bruciano meno, soprattutto grazie alla doccia fresca e alla voglia di raggiungere lo stand il prima possibile. Oggi inizia il grande circo di EUROLUCE che nel Salone del Mobile si rivela in tutto il suo splendore e mesi ( se non anni) di idee, progetti, esperimenti ed investimenti si giocano in un tavolo di scommesse che dura una settimana. E le domande sono sempre le stesse: quanta gente verrà a visitare gli stand? Piacerà il mio prodotto? Avete visto che brutta l’esposizione in fondo al corridoio? Per chi lavori adesso? Dove hai messo il contratto?
La giornata scivola veloce ma intensa, con gli operatori che saltano da una parte all’altra come biglie impazzite in un flipper circondato da vetri maestosi e opere minimali illuminate a diodi elettronici, mentre i manager si destreggiano tra gli ospiti come Stenmarck in uno slalom gigante. Lo stand della Light4 è ben frequentato e ottima è la risposta degli acquirenti. Non mi stupisce ma mi rasserena e mi ricarica. Poche cose sanno stimolare il mio interesse come la possibilità di stare seduti ad un tavolo a pensare ad un progetto assieme ad un cliente: ascoltare la sua idea, cercare di capire cosa sta sognando, entrare nella sua fantasia e immaginare un prodotto, studiarne il prezzo e trattare l’accordo economico dello stesso.
La giornata corre veloce, è difficile trovare il tempo per un panino e un caffè, ma riesco a ritagliare 5 minuti per me e cambiarmi la cravatta. Ma faccio comunque in tempo a vedere un infinito campionario di bellezze appartenenti al genere umano: indiani con barbe lunghe e sorrisi smaglianti, occhi luminosi e lunghe gambe di ragazze dell’est, abiti sgargianti e tagli di capelli inusuali, gli sguardi intensi dei designer, la voglia mai doma di imprenditori anziani, il rumore dei calici nei numerosi brindisi di inaugurazione. Le luci si alzano e il sole tramonta. Lentamente gli stand si svuotano, il vociare diminuisce e dal parcheggio arriva la vibrazione di un temporale primaverile che, qualche minuto dopo, bagna i nostri soprabiti e il parabrezza delle auto che ci riportano in hotel.
Io, Lorenzo e Adelia ci lasciamo avvolgere da “Hang down your head” di Tom Waits e pensiamo che, per fortuna, domani si ricomincia.

Hush a wild violet, hush a band of gold
hush you're in a story i heard somebody told
tear the promise from my heart, tear my heart today
you have found another, oh baby i must go away
so hang down your head for sorrow, hang down your head for me
hang down your head tomorrow, hang down your head marie
hush my love the rain now, hush my love was so true
hush my love a train now well it takes me away from you
so hang down your head for sorrow, hang down your head for me
hang down your head, hang down your head, hang down your head marie
so hang down your head for sorrow, hang down your head for me
hang down your head, hang down your head, hang down your head marie



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