lunedì 7 febbraio 2011

DA VENEZIA A MARGHERA




Quando chiudo il portone tra la nebbia, le suole rigide delle mie scarpe sembrano scivolare sulla sabbia. Il colpo del portone è attutito dai vapori. Non c’è vento stamattina. Non arriverà il soffio forte del vento gelido quando avrò cambiato strada. Come succede la mattina d’inverno quando aspetto la barca e la corrente colpisce il mio volto. Cambio direzione ai miei passi e si squarciano le mura, arriva forte il vento. Nelle mattine d’estate il sole da oriente illumina gli alberi dall’altra parte, sull’altra riva. Potrei distinguere ogni albero, ogni finestra, contare le foglie e i coppi sui tetti, tanta è la luce. La luce che illumina quell’acqua che non possiamo bere ma che disseta, la luce che si staglia sulle tue corone, le tue ali e i tuoi pinnacoli. Che striscia sul ponte lungo fino a dilatarsi sui tubi di metallo sui gas neri sulla plastica bruciata su quei viali abbandonati alla loro bellezza, sfuggita di mano agli uomini come un pesce che scappa dalla rete.

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